Storia del Laghetto
Nella zona del Laghetto di Scarpizzolo, poco a nord-ovest dell’abitato di San Paolo di cui Scarpizzolo è frazione, si trova l’ottocentesco “Chiavicone Vecchio” che ha il compito di regolare le acque dello Stronello (o Strone basso, che nasce da sorgenti in località “Corno” a nord di Scarpizzolo) e forma il primo invaso del Laghetto.
Con le sue paratie regola il livello delle acque che, precipitando parecchi metri sotto, fanno nascere di fatto il fiume Strone.
Il secondo invaso, quello Sud, si è formato per raccogliere le acque di rogge quali Arrivabene-Provaglia confluenti, a Nord, nella Fenarola che (nata in località “Mangiaine” nella frazione Gerolanuova) finisce nel Laghetto.
Questa zona, di provenienza paludosa, ha avuto le prime opere di bonifica, di chiuse, di scavi, per opera dei monaci Benedettini dell’abbazia di Leno (fondata da Desiderio Re dei Longobardi nel 758).
Cronologia
1951
1938
La sede provvisoria venne definita in Verolanuova , ma più volte auspicata in Quinzano.
E’ anche l’anno in cui venne acquistato il molino di Trignano , per l’importo di £. 4.500 e questo col preciso scopo di eliminare quelli che allora erano frequenti invasi d’acqua abusivi.
1920
Tale alluvione, è ancora nella memoria di qualche anziano abitante di Scarpizzolo, tramandata dai loro padri e ricordata come quello che fu definito “ ‘L TIMPISTU’”.
Colorito modo per indicare l’eccezionalità dell’evento, che provocò verso Verolavecchia e Verolanuova distruzioni di abitazioni limitrofe al fiume.
La costruzione dello sfioratore, come si può constatare, si avvalse della manodopera locale e fu opera dell’Ing. Gadola che ne curò il progetto.
Si dovette isolare il tratto del Laghetto fra le due chiuse Nord e Sud, con due barriere di palafitte di lunghi pali di legno appuntiti e con una copertura metallica conica alla punta esterna per facilitarne inserimento nel terreno, con sacchi di sabbia per prosciugare il tutto e consentirne i lavori.
Alcune di tali palafitte, in condizioni di acqua bassa si possono ancora intravedere ancora in buono stato di conservazione. Eventuali lavori di risistemazione del bacino idrico del Laghetto potrebbero restituircene ancora intatte e tale da farne un po’ il simbolo dei lavori che hanno definito i contorni dell’invaso.
La spesa, nel 1920 per tale scolmatore centrale, fu di £ 479,962, di cui £ 150.000 ottenute in mutuo dallo Stato, a cui hanno fatto fronte i proprietari dei fondi , sia di Quinzano che di Verolavecchia , mentre fu eliminata l’idea di formare una diga in località “ponte rosso“, “ Pùt Ross” (sulla strada Quinzanese) per creare un grosso invaso nella valletta a sud dei Chiaviconi; un suggestivo lago il cui progetto fu annullato ufficialmente per mancanza di fondi, ma certamente rifiutato dalle comunità dei comuni posti sul percorso dello Strone per paura che l’invaso di grosse dimensioni potesse rappresentare un’incombente pericolo d in caso di esondazioni o disastri naturali.
1883
1881
Il tribunale l’11-luglio 1881 incaricava l’Ing. Bortolo Peroni di Brescia, di porre i confini secondo il tipo Ing. Tadini condannano i frontisti al pagamento delle spese per la posa dei termini e di quelle di giudizio.
Al seguito di ciò la sentenza emessa in Brescia l’11-Luglio 1881, vedeva i frontisti;
“Condannarsi tutti i contumaci in solido al pagamento delle spese occorribili pel regolamento e posizione dei confini re delle altre opere di cui al punto, nonché di quelle del presente giudizio, tassate in £. 767,85 oltre al costo di Sentenza, sua spedizione e notificazione.”
1880
La Convenzione che confermava i terreni:
“essere di competenza e proprietà delle attrici compartite dell’acqua Quinzana, l’alveo e il tratto di terreno racchiuso e compreso fra le due linee nere del tipo Tadini, confermando la lamentata ominazione dell’alveo del vaso stornello ed occupazione degli spazi di terreno dalle acque abbandonati ed occupati dai Frontisti“.
Per sola curiosità anagrafica del periodo 1880- trascriviamo le parti attrici nella contesa, notando cognomi e nomi a noi noti ed atri che si sono persi negli anni che seguirono.
“Alloisio Battista fu Agostino- Paganini Agostino fu Domenico – Martinelli Lucia fu Antonio- Canini Angela ved. Fontana – Fontana Giuseppe fu Pietro –Gariboldi Battista fu Battista – Rabizzi Giovanni fu Agostino – Venturini Battista fu Giacomo –Conti Battista fu Antonio- Vighetti Bortolo fu Antonio – Alloisio Francesco fu Pietro- boschetti Francesco fu Bernardo –Riva Dott. Giovanni fu Carlo , quale investito pro-tempore dell’arciprebenda di Scarpizzolo, tutti in questo comune ,- Salvadego Nobile Alessandro fu Francesco di Brescia – Martinelli Maddalena fu Pietro e di lei marito Bettera Giovanni di Faverzano, baviera Innocenzo fu Andrea di S. – Azzano Mella – convenuti Contumaci“
1878
Nello stesso anno viene costruito il “Casino del Laghetto” .
La casa attigua al laghetto, indicata già nelle carte topografiche del 1700 come “Casino “costruita sopra la Roggia Quinzana, aveva inizialmente solo funzioni di chiusa nei confronti della roggia stessa, ed era di modeste dimensioni.
Solo in quest’anno viene edificata invece la casa di abitazione del custode così come è a noi giunta . Ora inutilizzata in funzione di chiusa, conserva ancora le guide esterne delle paratie che venivano azionate dall’interno mediante funi e contrappesi ormai persi.
Persa la sua originaria funzione, con una fonte sorgiva nei pressi è stata per anni abitazione per i vari custodi delle acque del Laghetto, custode che veniva avvertito dall’arrivo delle piene da un sistema di allarme posto all’imbocco del Chiavcone Sud, costituito da un ingegnoso “allarme a galleggiante” a colonnina di mercurio, che spinto in alto dall’acqua in crescita, provocava un contatto che azionava una campanella posta direttamente nella casa.
1874
Questo Chiavicone Sud dal suo nascere ha avuto profonde modificazioni fino ai nostri giorni, da primordiale sbarramento su palafitte con funzioni solo di sfioratore, per passare al già citato ampliamento ed ammodernamento del 1874, ebbe parziale crollo nel 1884 mentre è del 1888, come da targa ancora infissa che si da definitivo volto alle strutture di chiusa.
Lavori che subiscono verso la fine del secolo un ulteriore intervento atto a “tamponare“ un grosso sifone creatosi longitudinalmente sotto la costruzione rimasta intatta; sifone nel quale fu iniettato un poderoso blocco di calcestruzzo ad uso “budino” per otturare la grossa falla.
1834
1833
“N° 2193 REGNO LOMBARDO VENETO- 7 Gennaio 1833-
Provincia di Brescia –Verolanuova Distretto XI-
Oggi giorno di Giovedi diciassette “17” del mese di Gennaio dell’anno milleottocentotrentatre “1833” Era volgare, regnate sua Maestà Imperatore e Re Francesco Primo, E vuolsi dichiarato primamente che i Comembri Deputati della Compartita della seriola Quinzana, al precipuo scopo di compensare i singoli proprietari di quel fondo, già occupato dal vaso Stornello , e fino dall’epoca della distruzione del primo Scaricatore di detto Vaso a termini della convenzione 8 Marzo 1832-trentadue; et in ragione della rispettiva stima ad opera dell’Ingegnere G. Pietro Ravelli di Brescia del giorno 17 agosto 1832-trenta due, hanno, per ciò esso, date previamente opportune disposizioni, perché simultaneamente vogliono adunarsi i singoli individui cui si debba l’accennato compenso , affine di effettuare loro il corrispondente parziale pagamento verso quittanza di razione”.
1832
Convenzione in cui si stabiliva la rettifica del cordo tortuoso del tratto del Vaso Stornello, che va dal ponte sito nell’abitato di Scarpizzolo fino allo scaricatore, la sistemazione delle scarpate e delle sponde: “con piantaggio di ontani e salici da scalvo per consolidare le ripe “ed al pagamento degli indennizzi ai proprietari rivieraschi per l’esproprio di terreno occupato dal nuovo corso relativamente a quello preesistente del 1827 prima del disastro alluvionale con la caduta dello scaricatore.
Venne dato l‘incarico all’Ing. Ravelli di Brescia per i rilievi e la stima degli indennizzi. Tale stima venne redatta dal predetto Perito il 17 Agosto 1832.
1831
Su progetto dell’Ing. Ravelli , tale manufatto venne a costare lire Austriache 1600.
La costruzione ha dimensioni imponenti e testimonia l’abilità artigianale e l’intelligente razionalità delle maestranze preposte al buon funzionamento della ricca e complessa rete irrigua della bassa.
1824
Parliamo di quel “Pagus Farraticanus”- testimoniato dall’iscrizione romana, ora collocata ora presso la cella mediana del Tempio Capitolino a Brescia.
1754
1587
Anno nel quale i terreni attorno al Laghetto vennero acquistati dal Beneficio-Prepositura-Parrocchiale di SS. Nazaro & Celso di Brescia, già allora proprietari dei terreni adiacenti.
1510
Che si trattasse di vitale importanza lo conferma un altro scritto di questo anno domini ,dove leggiamo con curiosità:
“ Una ventina di uomini di Quinzano e Verolavecchia , chi a piedi, e chi a cavallo, si presentano armati in territorio di Trignano per far giustizia contro chi odopera la loro acqua ….” — Diverbi di antica data, che seppur in maniera più civile, ma non per questo meno energica, si rinnovano fino ai giorni nostri ogni qualvolta vi è una carenza, o prelievi d’acqua alla fonte che negano il flusso del prezioso liquido verso Sud.
1498
L’importanza di questa riserva d’acqua si può ben capire se si pensa al tipo di economia predominante in quel tempo. L’agricoltura costituisce tutt’ora una fetta preponderante delle attività umane e tutti ben sanno come senza acqua per l’irrigazione, acqua portatrice di fecondità, non si possa neppure immaginare di poter ottenere delle colture economicamente valide.
L’acqua dunque risultava di vitale importanza, per questo, come abbiamo riportato, un consistente numero di persone di Verolavecchia e Quinzano decise di comperare delle acque ed una zona di terreno in Scarpizzolo dove costruire le chiuse, e il vaso per incanalarne le preziose acque fino al loro territorio.
1486
Nel Documento del 1486 si riporta:
“Un numero imprecisato di contadini e concittadini compartiti” in 218 ore, si rende enfiteuta (proprietario) con diritto di affrancazione dello Stornello (oggi Laghetto) con il terreno per farvi il Chiavicone– Proprietari dello Stornello , Gerolamo e Aimo Maggi.
Dal Laghetto si diparte il vaso che lungo la strada Quinzano-Brescia porta l’acqua a Quinzano e Verolavecchia”.
Sono proprio queste righe a condensare il significato dell’opera.
Il Laghetto quindi come punto di bonifica, diventa punto d’invaso e di smistamento delle acque ad uso agricolo, acqua di vitale importanza.
Approfondimenti
Gli ultimi Camper
La famiglia Vergine e la visita al Laghetto del giovane Giovan Battista Montini, futuro Papa Paolo VI.
Una importante storia parallela a quella del Laghetto è quella vissuta fin dagli anni Venti dalla famiglia di Pietro Vergine, ultimo “ Camper “, termine dialettale ormai in disuso per indicare l’attento custode delle acque, che con la Sig. Giulia e la numerosa famiglia di sette figli, ha condiviso gli umori dell’ambiente naturale che lo circondava, vivendone con sacrificio e iniziali difficoltà, ma sempre in armonia, gli spazi che indossavano l’incanto delle favole, che non ci sono più, ma vivono indelebili nella mente fresca dei due protagonisti.
Una nota che segnala una gradita presenza alla Cascina Laghetto è riportata dalla testimonianza della Sig.ra Rasa Rossi Vergine (sorella di Pietro e figlia di Giovanni Vergine che fu custode della Villa Montini – “Il Dosso“ in quel di Verolavecchia dal 1901 al 1922) che documenta l’arrivo di Don battista Montini, futuro papa PAOLO VI.
“Vennero ancora una volta a trovarci al Laghetto dove ci eravamo trasferiti. Con una Topolino guidata dal Sig. Lodovico (fratello del Papa), Don Battista (futuro Papa) e la Sig.ra Giuseppina, moglie di Lodovico.
Il posto dove eravamo, era piuttosto squallido e loro presero nota di tutte le necessità per darci ancora il loro aiuto…”.
Altra testimonianza di come questa conoscenza con Don Battista Montini venne a mantenersi anche in tempi successivi con la famiglia Vergine, è documentata da una lettera proveniente dalla Segreteria di Stato di Sua Santità, il 7 Giugno 1948, nella quale il futuro Papa scrive fra l’altro alla Sig.ra Rosa “ ……. ringrazio anche della sua bella letterina del Buon Giovanni Luigi. A lui e a tutta la famiglia, mando saluti e voti di ogni bene del Signore …”.
(Si ringrazia: Alfredo Seccamani per le informazioni storiche fornite)
Storia di un piccolo borgo
Scarpizzolo: storia di un piccolo borgo della Bassa bresciana
Per una conoscenza più approfondita di Scarpizzolo, annotiamo alcuni eventi significativi che hanno accompagnato questo borgo e che insieme compongono una storia ormai accantonata e dimenticata per troppa fretta e frenesia del vivere, la cui rivalutazione serve non già a farci commemorare in chiave nostalgica gli elementi culturali del passato, ma a farci comprendere meglio il presente.
Il nome stesso di Scarpizzolo è di origine incerta e tradisce nella sua etimologia un riferimento al fiume e al suo profondo legame col borgo, che deriva dall’anteriore nome Scarpizzolum, attivo fino al XV secolo.
Alcuni studiosi ritengono che il nome possa derivare da una “scarpa“, considerando che il paese sorge su una scarpata o meglio, su un leggero pendio del fiume Strone, mentre altri, come il Gnaga e l’Olivieri lo fanno derivare dal verbo “scarpà”, disossare, nel senso di zona disboscata, bonificata.
Dal Catasto Napoleonico (cartografia del 1809) e successiva, riscontriamo essere presente a Scarpizzolo una chiesa Arciprebenda in tale via della Chiesa, con annesso Lazzaretto e cimitero nella zona Nord-Ovest nei pressi dell’invaso (in fondo alla attuale via XXIV Maggio).
La Chiesa, la cui costruzione può essere presumibilmente databile al tardo medioevo, è rimasta Chiesa parrocchiale fino al 1893, circondata dal cimitero che degradava verso l’invaso del Laghetto e di questa si riporta che fosse “antico fabbricato con soffitto a sesto acuto, sostenuto da grosse travi”; la sua storia può essere considerata parte integrante della storia del Laghetto.
Fu con l’opera della istituenda Compartita della Quinzana che dal 1465 tale sito ebbe profonda e radicale trasformazione e un’ulteriore ipotesi che la chiesa sorse proprio in quel periodo come supporto “logistico-spirituale” di tale opera di bonifica, eseguita da manodopera locale.
Ora la Chiesa Lazzaretto è scomparsa, cancellata dall’azione del tempo e dalla memoria degli uomini per far posto a costruzioni agricole che sono andate ben oltre la localizzazione dell’antico edificio religioso, invadendo i limiti primitivi dell’invaso e anteponendo un pur legittimo bisogno di area produttiva sul minimo rispetto ambientale.
Dalle mappe Napoleoniche constatiamo esservi stata anche una chiesa di “San Defendente“, tra l’altro patrono della parrocchia per molto tempo.
Il Vescovo di allora ordinò al Municipio di Scarpizzolo di far recitare ogni anno tre messe a San Defendente in memoria dell’antico Protettore. Questo obbligo fu soddisfatto fino a quando l’autorità civile, per alleggerire le spese comunali, sospese tale obbligo e della memoria del santo rimase ben poco, anche perché da “informazioni ecclesiastiche si venne a sapere di un fatto nuovo. Ebbene, San Defendente si venne a constatare, non è mai stato annoverato fra i santi, ne mai esistito un San Defendente:
“Santo Defendente del quale non si ha niuna historia et si dipinge un homo armato in piedi” (Arch. storico Diocesi di Milano sez. XIV Vol. 67 f.47 r).
Venne però intestata una via a tale santo, come da antiche mappe, dedicata a San Defendente, ora via San Martino.
Tanta era quindi la venerazione per i santi che dovevano proteggere le povere esistenze, che addirittura questi venivano inventati “su misura“; in questo caso il santo avrebbe dovuto “Difendere“ la vita e la salute della gente da calamità e avversità di ogni tipo.
1811
Viene costruito il Cimitero di Oriano, quello di Pedergnaga (ex cimitero in Via Cimitero Vecchio) su disposizione di Napoleone durante la Repubblica Cisalpina che durò fino al 1879, che prevedeva lo spostamento di ogni cimitero fuori le mura dei paesi.
1890
Si giunse infine solo verso il 1890 alla realizzazione dell’attuale Parrocchiale, per “fortemente volere e realizzare con caparbia volontà e lavoro per tutti”, sorta sulle antiche fondamenta del “Palazzo a guisa di fortezza con muraglie attorno circondate da fosse piene d’acqua con il suo ponte levador di ragione dell’Ill.mo Astor Martinengo”, castello distrutto per ordine dell’allora Repubblica di Venezia, in quanto pare fosse diventato rifugio di malfattori.
1893
Realizzata con assiduo lavoro, si pensava che la conclusione della costruzione della Chiesa Parrocchiale fosse l’Aprile 1893, mese comunque della sua inaugurazione, ma da recentissimi lavori di salvaguardia dall’umidità, da una parete della parte anteriore destra è venuta allo scoperto, con sorpresa, un contenitore in legno con una scritta dovuta ad un solerte artigiano che con meticolosità annota nel 1894 l’anno della sua muratura e quindi della fine lavori.
(Si ringrazia: Alfredo Seccamani per le informazioni storiche fornite)
Il Mistero della Chiesa
Troviamo traccia di una Chiesa–Lazzaretto che sorgeva poco a Nord-Ovest del Chiavicone Nord del Laghetto e adiacente all’area dell’invaso d’acqua, in fondo a quella che è ora via XXIV Maggio a Scarpizzolo, ma al tempo indicata come Via della Chiesa.
La Chiesa, la cui costruzione può essere presumibilmente molto datata, è rimasta Chiesa parrocchiale fino al 1893, circondata dal cimitero che degradava verso l’invaso del Laghetto e di questa si riporta che fosse “antico fabbricato con soffitto a sesto acuto, sostenuto da grosse travi”, la sua storia può essere considerata parte integrante della storia del Laghetto.
E’ nel 1525 che i nobili Maggi, potente famiglia, imparentata col vescovo Berardo, ottengono il patronato sulla parrocchia di San Zenone di Scarpizzolo ed è ai Maggi che si deve in gran parte il rilancio della parrocchia.
Il loro diritto di patronato veniva riconfermato ed esteso nel 1553 dal Vicario generale del Vescovo Card. Durante Duranti, ed esercitato alternativamente fino al 1888 dalle famiglie Martinengo Colleoni, Caprioli e Calini che lo ereditarono estintasi la famiglia del Nob. Scipione Maggi.
Ma fu in particolare il Nobile Scipione Maggi, che ebbe ingerenza mediante sostanzioso contributo nella costruzione dell’Oratorio campestre di Santa Maria -La Madonnina- ed è molto probabile che questa benemerita famiglia signorile, più che ai conti Martinengo, e alle altre famiglie nobili succedutesi in seguito in paese, se la parrocchiale intitolata a San Zenone fu edificata sul posto verso il 1525-1530, su piccolo edificio preesistente, quel Lazzaretto con cimitero sorto anni prima in seguito alla peste del 1477-78 proprio sulle sponde dell’invaso. Rimane però fitto il mistero sulla sua prima costruzione. Riguardo la peste del 1477-78, definita “peste del Mazzucco”, o anche “la spagnola” abbiamo una descrizione di tale evento, che ci viene da Giangiacomo Voghel di Lipsia;
“… il primo ottobre si ebbe una nebbia spaventevole che produsse un mal di testa del tutto sconosciuto. L’epidemia si diffuse presto in tutta la Germania , era chiamata generalmente La Pipita Spagnola, perché questa malattia infesta la Spagna da 18 anni (…) In alcuni soggetti la malattia si manifesta con brividi e raffreddore generale, in altri con infiammazione , ma più specialmente con vomiti, attacchi asmatici e cardiaci, con la raucedine e la tosse .
Quando questa malattia si è manifestata in una casa, nessuno dei famigliari me rimane immune. Spesso segue la morte rapida e violenta…”.
Riportiamo inoltre uno scritto del celebre Agronomo Agostino Gallo, nativo di Cadignano da Giancristoforo e Beatrice Spalenza, che nel 1564 scrive a proposito del territorio Bresciano:
“cel mostrano più scritture, e alcuni pochissimi bresciani ancora, i quali videro quanto era ben lavorato (il territorio) avanti la grandissima pestilenza del 1477.
Per la quale vi rimase così poca gente che una grossa parte del paese venne a pascoli e boschi a lame, a paludi per non esservi chi lo coltivasse ne chi tenesse i vasi, i ponti, i canali, gli argini, le pallate e altri sostegni all’ordine, accioche le acque non lo paludassero …”
Il sito ove sorgeva quindi la chiesa era a palude e a Sud del villaggio e si ritiene già in fase di bonifica per opera dei Benedettini.
Fu con l’opera della istituenda Compartita della Quinzana che dal 1465 tale sito ebbe profonda e radicale trasformazione e un’ulteriore ipotesi che la chiesa sorse proprio in quel periodo come supporto “logistico-spirituale” di tale opera di bonifica, eseguita da manodopera locale.
Ora la Chiesa Lazzaretto è scomparsa, cancellata dall’azione del tempo e dalla memoria degli uomini per far posto a costruzioni agricole che sono andate ben oltre la sua localizzazione, invadendo i limiti primitivi dell’invaso anteponendo un pur legittimo bisogno di area produttiva sul minimo rispetto ambientale.
Violentate da anni di soprusi, queste acque e zolle di terra non possono trovare sollievo da sole semplici piogge. L’invaso, assetato di pulizia, non può accontentarsi di bere avidamente l’acidità liquida filtrata dai miasmi che non ci lasciano respiro, ma solo un grosso “temporale” di d’idee e d’interventi, atto ad operare un energico restauro ambientale che coinvolga la fattiva e convinta collaborazione di diverse categorie sociali può restituire la sapienza ambientale di un tempo, superando i momenti e le cause della rottura dell’equilibrio naturale.
E’ quindi opinabile e illusorio filosofare come Eraclito ( che con la propria teoria Panta Rhei, tutto scorre, tutto è un continuo divenire, dal poema “sulla Natura”, credeva che dal contrasto delle cose queste tendevano a trasformarsi autonomamente nel proprio contrari) se atti decisi e decisioni energiche a più livelli di amministrazione non intervengono per il vero cambiamento ambientale con ognuno di noi che contribuisce, scrollandosi di dosso l’apatia, lo scetticismo, e rendendo i nostri gesti quotidiani più responsabili verso ciò che di bello ci circonda, a delegare se stesso a conservare armonie in estinzione.
La sopravvivenza della specie e della natura viene vissuta in tutta la sua drammaticità, questo grido di dolore non lascia spazio ad un facile ottimismo, sana coscienza di una gravità dello stato dell’ambiente ma troppo spesso condito d’inattività . fa gridare all’olocausto ambientale.
Questione fondamentale, quello ambientale che emerge da voci eminenti che stigmatizzano tale pericolo sempre assillante e urgente richiamando tutti, laici e credenti alle proprie responsabilità.
“Io vi ho condotto in un giardino, per saziarvi dei suoi frutti e dei suoi beni. Ma voi appena stanziati, avete profanato la mia terra, avete reso la mia eredità una abominazione”: questa frase del Profeta Geremia potrebbero essere poste a monito di tutti gli “uomini che saranno sottoposti al giudizio divino, alla fine dei tempi in cui avverrà la mietitura. Avendo ricevuto molto, di molto gli sarà domandato conto”.
Questa mancanza di rispetto perennemente e tacitamente perpetrata all’ambiente, inspiegabilmente tollerata, fa ormai sopravvivere solo frammenti relitti dell’antica vegetazione, lembi di natura che conservano piccole ma importanti testimonianze delle bellezze naturali d’un tempo, quasi del tutto scomparse da un territorio largamente modificato dall’azione dell’uomo e sottoposto ad agricoltura intensiva, che tende a cancellare in misura sempre maggiore quella rete di filari e di siepi, quelle varietà di colture foraggere, di “lame” e di macchie alberate, che appena due-tre decenni orsono vivificavano e ne caratterizzavano il paesaggio.
Ecco quindi che l’eliminazione della vegetazione spontanea che borda il corso d’acqua o la sostituzione con impianti industriali di pioppo ibrido, l’incendio o la distruzione delle erbe spontanee ai margini dell’invaso e dei campi, le agrotecniche legate alla monocoltura, hanno ridotto sensibilmente la presenza di fauna e flora “amica” cancellandone i luoghi adatti al rifugio, al nutrimento e alla riproduzione, incrementando l’erosione, l’abbassamento di fertilità nei terreni e l’inquinamento ambientale delle acque superficiali e delle falde sotterranee.
L’alveo di ogni fiume ha per leggi naturali una morfologia di certo variabile nel tempo e nello spazio. La sua evoluzione è legata a fattori climatici e di sedimentazione e idraulici, dai quali l’uomo non può prescindere.
La “Madùnina”
Località “Madonnina” – Scarpizzolo
E’ fra tutte, quella che ha visto di certo il maggior transito davanti ad essa, dapprima i lenti e tranquilli viandanti, ora i frenetici quanto distratti automobilisti.
Defilata dal borgo, posta a cavalcioni delle strade, una che taglia da Est-Ovest il territorio, l’altra perpendicolare da Sud a Nord, vicino ad una ex stazione di sosta con osteria dalla storia antica.
Un approdo sicuro per i viandanti di allora che nel santuario, sperduto nella pianura , fra rogge profonde e file di gelsi e pioppi, sotto il sole cocente dei giorni estivi, o sotto la neve dei freddi invernali, nelle notti cupe, vedevano un luogo sospirato e rassicurante, ove chiedere protezione e incolumità dall’incerto viaggio.
Viaggi che per i passanti di allora che si facevano a piedi i lunghi chilometri verso Brescia o Cremona era ad alto rischio, essendo divenuta teatro, in località “Ponte rosso” sullo Strone per alcuni periodi, ideale luogo di assalti banditeschi.
Nel 1525 la famiglia Maggi , ottenne il patronato sulla parrocchia di S. Zenone, ed è ai Maggi che si deve in gran parte il rilancio della parrocchia di Scarpizzolo.
Fu in particolare il nobile Scipione Maggi nel 1525, che si ritiene, contribuì sostanziosamente alla costruzione dell’oratorio campestre di Santa Maria ( la Madonnina ) ed e molto probabile che si debba alla sua benemerita famiglia , più che ai Martinengo o ad altri, se anche la parrocchiale intitolata a S.Zenone fu nello stesso tempo edificata , in luogo di un edificio preesistente , ma di più contenute dimensioni : quel “ Lazzaretto” ,come è popolarmente designato , con annesso cimitero , sorto molti anni prima a seguito della peste sulla scarpata del Laghetto formato dallo Strone.
Notizie sulla sua esistenza le ritroviamo nel 1565,ed è il Vescovo Bollani che ne certifica l’esistenza come “Sub titulo Divae Mariae campestris, in qua celebratur singulis solenmitatibus S.Mariae” e presso la quale costituì “Libros necessarios ad exercedam curam animarum.”
Si ritiene che vi si fermò e vi pregò S. Carlo Borromeo durante la sua visita apostolica alla diocesi di Brescia, nell’ itinerario che da Pedergnaga e Scarpizzolo, lo portò a Cadignano.
Il 22 settembre 1580, ed in tale visita viene riportata la sua esistenza come “Oratorio campestre Santa Maria “con un proprio altare dedicato a San Defendente, altare su cui il rettore della parrocchia, interrogato dall’arcivescovo assicurò di celebrare in detta chiesetta , tutte le solennità appropriate.
Con la facciata rivolta a Ovest, perpendicolare alla strada che conduce al centro di Scarpizzolo, si accede all’interno tramite portoncino centrale che fa accedere ad uno spazio ad aula unica , divisa dalla zona absidale da un gradino e da due file di balaustra di marmo. Lateralmente pareti di colore uniforme ma senza dipinti, sopra le quali sei lunette semicircolari, filtrano le luci del tempo, illuminando un tetto ad una navata con archi convergenti al centro.
Le prime due arcate sono dipinte con colori tenui ed uniformi, mentre la parte sull’altare è dipinta con colori vivaci con cielo stellato con angelie, preceduta da una scritta centrale “ROSA MISTICA”.
Numerosi angeli festanti dipinti pure sulla luminosa lunetta centrale dell’abside piano con una scritta “QUASI ROSA IN JERICO ET CYPRESSUS IN MONTE SION”.
Centralmente una nicchia protetta da vetro racchiude la statua della “MADONNA della ROSA”, di buona fattura che rappresenta la Madonna seduta, che tiene sulle destra un paffuto Gesù in piedi. In anni recenti è stata soggetta ad un furto che ne ha spogliato l’arredo, e asportato i lampadari centrali e laterali originali.
La chiesa attuale risale al 1926 (col contributo del proprietario del sito certo Lanzani Paolo, e con certe concessioni avute dal Vescovo di Cremona), e sostituisce la più antica precedente chiesetta, la cui demolizione portò alla luce, sotto l’intonaco della mensa dell’altar maggiore, anche la data presumibile della sua costruzione, nell’iscrizione non del tutto decifrabile:
“Hoc op.f.f. Petrus de Zanarutis et Antonius del Luchias et Andreas et Pa….die 12 junii 1515” costoro probabili signori del posto, oppure dirigenti di una disciplina, o qualche altra Confraternita consimile, e la sua edificazione esercitò per quattro secoli sulla strada solitaria la sua missione di fede e pietà.
Sul lungo rettilineo Dello-Quinzano, in mezzo alle rogge profonde e agli alberi alti che fiancheggiavano la strada resa paurosa di giorno e di notte perché nessuna casa rustica si affaccia su di essa a rompere la monotona solitudine, il viandante di allora , guardava con senso di fiducia a questa piccola chiesa disadorna, ove innalzava preghiere per un buon viaggio, e l’implorazione per l’incolumità del suo cammino.
Sotto il rozzo porticato che stava a cavalcioni sulla strada, sostavano a a lungo , come a luogo di riposo, i carrettieri della Bassa Bresciana che davanti alla porta socchiusa del tempietto davano tregua alla bestemmia ed alle imprecazioni , per cogliere un istante di vita dello spirito a implorare pietà , soffermandosi a leggere le iscrizioni in latino ed italiano , che ricordavano echi di battaglie lontane.
Per la sua costruzione é probabile un sostanzioso contributo sia dovuto alla nobile famiglia Maggi, in particolare la Nob. Scipione, che nel 1525 otteneva il patronato sulla parrocchia di Scarpizzolo, tanto più che è ai Maggi che si deve in gran parte il rilancio della parrocchia di San Zenone in Scarpizzolo per cui nel 1533 il vicario generale del Card.Duranti , vescovo di Brescia confermava loro il diritto di patronato che poi passò ai conti Martinengo Colleoni Caprioli e Calini.
La chiesa abbattuta era comunque quasi dozzinale , impiastricciata di tinte molto paesane e disadorna . Con un’abside semicircolare , con al centro una nicchia accogliente una statua della Madonna col Bambino seduta sul trono; la statua in legno dipinta in vari colori , ha un sapore arcaico che l’avvicina a quelle sculture in legno , che numerosi artisti bresciani del 400, (i Torelli, e Zamara di Chiari e Murari di Brescia) hanno diffuso nelle chiese Bresciane.
Quella di Scarpizzolo ha molti tratti di somiglianza a quella della Madonna della Stella di Bagnolo Mella, opera dello scultore Zamara Antonio vissuto a cavallo del Quattrocento e Cinquecento.
“Madonnina” è nella denominazione comune o” Madonna della strada, o dello Stradone” anche se ufficialmente le fu dato il titolo di” Madonna della Rosa”, attorno alla quale il popolo non mancò di ricamarvi attorno gentili leggende e miracoli.
Una tradizione popolare vuole che un giorno la Vergine fosse apparsa con una rosa in mano su di un albero, ad una contadina di Scarpizzolo che all’istante riacquistò la vista e che il tronco dell’albero fosse poi stato rinchiuso nel muro della chiesetta.
Nelle discussioni dei viandanti di allora dovevano giungere gli echi di lontani avvenimenti , come nel 1733, echi di una guerra la cui ansia fu fissata in una lapide dettata dall’allora Parroco il bergamasco Don Francesco Maitinati (1726-1751) con i seguenti distici latini:
“Totus in arma riut mundus cladesque minatur-Marte sonant urbes ruraque Marte sonant- Porrige tu dexteram et tantos compesce furores Numinis aeterni Filia Sponsa Parens”
Ex devot. Fr. Maitinati rect.1733”.
Affissa all’interno, sopra la porta del tempio così recita:
“Bolle ovunque il furor , strage minaccia – E i campi e le città Marte scopmpiglia – Con la destra frenar l’ira ti piaccia – Madre del Nume , sposa insieme e Figlia”
I confini contestati
Come si evince dalla cronologia sopra riportata, i confini che delimitano l’invaso del Laghetto non sono mai stati particolarmente rispettati dai frontisti e questo non vale solo per il lontano passato. Anche nel corso degli ultimi decenni, la generale mancanza di rispetto dell’ambiente ha fatto diventare l’alveo attuale l’ombra di ciò che fu, sia in termini di inquinamento delle acque che di estensione dello specchio d’acqua. Tutto ciò perché si è continuato a depositare materiale di ogni genere e terreno lungo le ripe a sud dell’abitato di Scarpizzolo e oltre, persistendo nel considerare criminalmente il Laghetto una pattumiera servente l’abitato e le attività connesse, tanto da rendere vani anche gli sforzi di espurgo generale, come quello fatto eseguire dalla Federazione del 1986. A questo si aggiunga la cementificazione selvaggia e l’indiscriminato taglio degli alberi che, incredibile, hanno tristemente coinvolto molte zone attigue agli argini o addirittura gli argini stessi.
Non solo un’usurpazione di terre adiacenti l’alveo del fiume e l’inquinamento dello stesso, ma anche dissipazione di memorie storiche che hanno segnato la vita del borgo di Scarpizzolo.
Abbiamo ritrovato nell’Archivio di Stato di Brescia delle carte topografiche del nostro territorio risalenti al periodo del Catasto napoleonico del 1809 ed al successivo catasto austriaco del 1850, che mostrano lo sviluppo e l’ampiezza del Laghetto già all’interno del paese di Scarpizzolo, all’incrocio con Via Grande (allora denominata “Strada comunale che da Tricesimo mette alla strada regia per Brescia”), ove esisteva uno slargo delle notevoli dimensioni presso il quale gli agricoltori conducevano il bestiame ad abbeverarsi, le donne lavavano i panni e i bimbi sguazzavano certamente senza pericoli di inquinamento.
Anche i Sanpaolesi meno giovani ricordano con non poca nostalgia come il Laghetto ed i corsi d’acqua circostanti abbiano sempre rappresentato per la comunità locale una sorta di “piscina naturale”, dove ritrovarsi a fare il bagno nella stagione calda grazie alle sue acque limpide e abbondanti, circondate da una vegetazione rigogliosa.